Merope, Venezia, Rossetti, 1711

 MEROPE
 
    Drama da rappresentarsi per musica nel famoso teatro Tron di San Cassano il carnevale dell’anno 1711, consacrato a sua altezza il signor principe Teodoro Costantino Lubominshii, principe del Sacro Romano Imperio, conte di Vischnis e di Jaroslav, signor sovrano di Lublav, Sipour e delle tredici città di Sepusia, eccetera, eccetera.
    In Venezia, MDCCXI, presso Marino Rossetti, in Merceria all’insegna della Pace, con licenza de’ superiori e privilegio.
 
 Altezza,
    la libertà, ch’io mi prendo di mettere il nome glorioso di vostra altezza in fronte a questo mio dramatico componimento, non nasce dal desiderio di offerirvi una cosa ch’io giudico per più capi troppo inferiore al vostro merito, anzi al mio rispetto medesimo, ma dall’ambizione di vedermi pubblicamente onorato dal patrocinio di un principe così grande che non solo è un ornamento del regno, dov’egli è nato, ma ancora di tutta l’Europa, dove la sua fama si è sparsa. Infatti, che non debbo io sperare dall’autorità di un nome sì illustre che in pochi anni è divenuto l’oggetto dell’amore di più monarchi e della stima di più nazioni? La Polonia, la Germania, l’imperio tutto vi riconoscono, di comun consenso, non solo erede della vostra nobilissima casa, ma ancora delle virtù de’ vostri gloriosi antenati, e confessano che, come ne sostenete il decoro con la magnificenza del vivere, così ne mantennero la gloria anche con l’imitazione dell’opere; talché, se ora siete formato su l’idea di quelli che vi precedettero, un giorno ancora sarete l’esemplare di quelli che da presso vi seguiranno. So bene che il pubblico ora da me attenderebbe ch’io divulgassi alcune di quelle eccellenti prerogative che vi ha guadagnato l’universale venerazione; ma io altro non posso se non rapportarmi a ciò che ne hanno detto e che ne dicono di continuo e l’istorie e le penne degli stranieri, cioè a dire le voci di coloro che sono stati i testimoni dimestici delle vostre azioni e che, meglio di me, conoscono e l’eccellenze della vostr’anima e quelle del vostro ingegno. In tal maniera io mi dispenso da un obbligo, il cui adempimento, come, per la vostra moderazione, sarebbe poco soffribile, così, per la mia insufficienza, sarebbe troppo pericoloso e dove la difficoltà dell’impegno né a voi gran piacere né a me gran lode darebbe. Resta egli adunque che io torni a ripetere che non altro motivo mi ha spinto a dedicarvi il mio drama, fuorché l’onore della vostra gloriosa protezione, dalla quale resti illustrato il mio componimento e ’l mio nome e che prevenga gli animi a mio vantaggio; talché pensino esser meno imperfetta la mia fatica, da che la veggono dal vostro gradimento sì ben difesa, e più difficilmente s’inducano a credere ch’io l’abbia malamente disegnata e distesa, da che ho saputo sì saviamente offerirla. Se in questo ho la temerità di aspirare alla vostra approvazione, sappiate che, come voi avete quella di tutti, così non v’ha persona che non desideri di ottenere la vostra. Sono lontano da meritarla; ma comunque a me ne succeda, spero almeno che dalla vostra bontà non mi sarà negata la grazia di potermi pubblicare al mondo, per tutto il corso della mia vita, qual sono di vostra altezza umilissimo, divotissimo, ossequiosissimo servidore.
 
    N.N.
 
 ARGOMENTO
 
    Volendo Aristotile, nel XV capo della sua Poetica, dare un esempio della più perfetta riconoscenza nelle azioni tragiche, la quale avviene allorché le persone non conoscono l’atrocità dell’azione che son per commettere, se non dopo averla commessa o dopo il pericolo, in cui sono state di commetterla, ne reca l’esempio di Euripide, il quale, nella sua tragedia intitolata Cresfonte, fa che Merope riconosca il figliuolo nel momento medesimo in cui ella sta per ucciderlo. Siccome questa tragedia di Euripide non ci è stata conservata dal tempo, così egli è difficile e l’indovinare l’artifizio, con cui egli avesse condotta la favola, e ’l sapere tutto l’argomento su cui l’avesse distesa. Quanto all’artifizio, se ne ha un piccolo barlume in Plutarco, il quale nel suo trattato dell’Uso de’ cibi riferisce che Merope, nell’atto di svenare il figliuolo non conosciuto da lei, se non come assassino del suo figliuolo medesimo, vien trattenuta opportunamente dall’arrivo di un vecchio, da cui le vien fatto conoscere che quegli era il suo proprio figliuolo. Quanto poi all’argomento, io ho creduto di averne trovate tutte le possibili circostanze non meno appresso Pausania, nel libro 4, che appresso Apollodoro, nel libro 2 della sua Biblioteca. Ed ecco in ristretto quel tanto che ho giudicato più acconcio alla condotta del mio disegno.
    Cresfonte, uno della famosa prosapia degli Eraclidi, cioè a dire dei discendenti da Ercole, fu re di Messenia e marito di Merope, figliuola di Cipselo, re di Arcadia. Per suggestione di Polifonte, che pur era degli Eraclidi, egli proditoriamente fu ucciso da Anassandro, servo confidente della regina, insieme con due teneri figliuolini che presso di lui si trovavano. Epito, che da me nel drama vien nominato anche Epitide, suo terzo figliuolo, non soggiacque all’istessa disavventura, perché allora, in età ancor tenera, trovavasi ostaggio appresso Tideo, re di Etolia. Morto Cresfonte, non si poté venir in chiaro dell’autore di tal misfatto, perché Anassandro fu tenuto occulto gelosamente da Polifonte. Il sospetto cadé sopra la regina, per essere stato l’uccisore suo confidente e suo servo; e questa voce fu avvalorata con arte anche da Polifonte. Ciò la escluse dalla reggenza e Polifonte fu dichiarato re, con obbligo di dover render lo scettro ad Epitide, ogni qual volta questi capitasse in Messenia e fosse in età di governar da sé stesso. Il tiranno, in tal mentre invaghitosi di Merope, procurò di averla in moglie; ma questa chiese dieci anni di tempo, sperando che in tal mentre o si scoprisse il vero autore del commesso misfatto o che il figliuolo, già fatto adulto, venisse a prendere il possesso della sua eredità e del suo regno.
    In tale stato di cose passarono i dieci anni. Il re Tideo guardò in Etolia Epitide con tal diligenza che, quantunque Polifonte tentasse più d’una volta, per mezzo di Anassandro spedito occultamente in Etolia, di farlo perire, non poté mai venirne a capo. Simulando di voler restituire il regno al suo vero erede, più volte fe’ ricercare Tideo che dovesse mandare alla Messenia il suo principe; ma non potendo né meno con quest’arte trarre quel re nell’insidie, gli fece violentemente rapire Argia, sua figliuola amata e promessa ad Epitide, a fine di obbligarlo in tal guisa a dargli in mano quel principe; e ciò fu cagione che il re di Etolia gli mandasse per suo ambasciadore Licisco, amico di Epitide, e che Epitide entrasse non conosciuto in Messenia, per intendere se Polifonte o Merope fosse colpevole della morte del padre e de’ fratelli. Vi giunse appunto in tempo che la Messenia era gravemente molestata da un mostruoso cinghiale. Spirava inoltre quel giorno prefisso da Merope per far le sue nozze con Polifonte. Il rimanente s’intende dal drama, il cui vero fine si è che Epitide racquistò la corona, Merope fu conosciuta innocente e Polifonte, per aver ciecamente e per divino giudizio commessa altrui la morte di Anassandro, quando egli stesso dovea farla eseguire alla sua presenza, perdé la corona e la vita.
    Per maggiore intelligenza si dovrà avvertire che Messene era la capitale del regno, posta alle falde di un monte, sopra la cui sommità era la fortezza d’Itome, e che non lontano da essa corre il fiume Pamiso.
    La devastazione, fatta dal cinghiale, del regno non dee parere inverisimile, sapendosi che tal fu quello ucciso da Ercole e l’altro, pure ucciso da Meleagro, e che il cavalier Guarini ne ha pur un altro, introdotto con poco diverso fine nel suo incomparabile Pastor fido. Stimerei felice questo mio peraltro imperfettissimo componimento, s’egli non patisse altra opposizione che questa.
 
 ATTORI
 
 POLIFONTE tiranno di Messenia
 (il signor Giovanni Batista Carboni)
 MEROPE regina di Messenia, vedova di Cresfonte
 (la signora Maria Landini di Castelnuovo)
 EPITIDE figliuolo di Merope, creduto Cleone straniero
 (il signore Stefano Romani)
 ARGIA principessa di Etolia
 (la signora Margherita Salvagnina)
 LICISCO ambasciador di Etolia
 (la signora Giovanna Martinelli)
 TRASIMEDE capo del consiglio di Messenia
 (il signor Pietro Casati)
 ANASSANDRO confidente di Polifonte
 (il signor Francesco Cignoni, virtuoso del serenissimo principe di Toscana)
 
 COMPARSE
 
    Di soldati messeni per la real guardia di Polifonte, di arcieri, di soldati etoli con Licisco.
    La scena si rappresenta in Messene, capitale del regno della Messenia.
    La musica è del signor maestro Francesco Gasparini.
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Piazza di Messene con trono, grand’ara nel mezzo con la statua d’Ercole coronata di pioppo, tempio chiuso in lontananza, il quale poi si apre; stanze di Polifonte in villa con porta segreta che corrisponde ad un gabinetto.
    Montuosa con rocca nell’alto, grotta nel mezzo e palazzo delizioso nel basso; cortile; sala con trono e sedili.
    Parte del giardino reale, grand’albero isolato da una parte; stanze di Merope; salone reale chiuso nel mezzo da un grande cortinaggio pendente dal soffitto di esso, il quale poi alzandosi lascia vedere il rimanente di esso salone.